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Democratica

Della Redazione Di Democratica

n. 93 lunedì 18 dicembre 2017
“Due ufficiali dei carabinieri costruirono prove false per far cadere il presidente del Consiglio. Capire che è successo attiene allo stato della democrazia” (Luciano Violante)
Vogliono l’Italia fuori dall’Europa
Lega-M5S Preoccupazione per la posizione antieuropea dei due partiti populisti italiani. E l’export italiano vola: meglio di Francia e Germania
ALLE PAGINE 2-3
L’EDITORIALE


Banche, io so (ma non ho le prove)
Luigi Marattin
“I“Io so – scriveva Pasolini sul Corriere della Sera il 14 novembre 1974 in merito alla strategia della tensione ma non ho le prove”. La strategia della tensione è finita da decenni (anche se continuiamo a non avere le prove), e di Pasolini non ne nascono certo più da un pezzo. Ma su cos’è tutta questa storia delle banche, io so. Ma non ho le prove. So che fino a inizio anni ’90 tutto il nostro sistema bancario era organico al sistema di spartizione di potere pubblico della Prima Repubblica. Le banche erano enti di diritto pubblico, e per sapere il nome di chi avrebbe guidato una banca, non dovevamo attendere l’esito di una procedura di reclutamento tra i migliori manager internazionali; bisognava aspettare l’esito di un congresso di partito, per capire come si modificavano i rapporti di forze tra le correnti. So che da quel momento in poi – finalmente – il nostro sistema bancario va incontro ad una ristrutturazione profonda, non solo per adeguarsi all’ingresso nel mercato unico europeo, ma anche per dotarci di un moderno sistema di intermediazione del credito che risponda ai bisogni dell’economia e non a quelli della politica, spesso con la “p” molto minuscola. So che questa ristrutturazione fu incompleta. Sono nati due gruppi bancari di dimensione europea, e permane una buona rete di banche di credito cooperativo (banche “di prossimità” diffuse e utili). Ma in mezzo rimane un sistema di istituti che rimangono esattamente come prima: l’unica differenza è che – tramite il sistema delle Fondazioni – si passa dal controllo della politica ad un controllo in mano a sistemi di potere locali: in alcuni casi privati (associazioni di industriali, agricoltori, commercianti), in altri pubblici (enti locali). In altri casi ancora, rimane il modello delle banche popolari (un assetto di governance che – più di tutti – “protegge” il controllo della banca da acquisizioni esterne). So che in questi 25 anni, questo sistema ha fatto di tutto (ma proprio di tutto) per lasciare tutto esattamente così.
SEGUE A PAGINA 5
DISINFORMAZIONE
CONVEGNO EYU
ECONOMIA
E ora i sondaggi
I nuovi diritti
L’Istat adesso
confermano
nell’era
calcola anche
il fenomeno
dei robot
il benessere
PAGINA 4
PAGINA 6
PAGINA 7
Politica
Chi vuole riportare indietro l’Italia?
Oggi i dati ISTAT sull’export ci consegnano un risultato notevole: +11.3% sullo scorso anno. Nei primi 10 mesi dell’anno l’Italia ha fatto +8%, la Germania +6%, la Francia +5%. Complimenti alle aziende e ai lavoratori che hanno ottenuto questo risultato, bravissimi.
Ma proviamo a parlare di politica, per un attimo.
Vi immaginate cosa accadrebbe al nostro export, e ai lavoratori delle aziende interessate, se al Governo ci fosse chi vuole uscire dall’Euro come Salvini o Di Maio? Vi immaginate le ricadute occupazionali se l’Italia all’improvviso scegliesse la strada dei dazi e della chiusura, anziché la strada di essere protagonista nel mondo?
Vale lo stesso discorso che abbiamo fatto per gli 80 euro o per chi vuole tassare i pensionati: via via che si entra in campagna elettorale sarà fondamentale discutere nelmerito. E scoprire le differenze tra chi vuole mandare avanti l’Italia e chi vuole riportarla indietro, magari facendola uscire dall’Euro. Ne vedremo delle belle. Avanti, insieme.
Matteo Renzi
Ecco i nemici dell’Europa
“L’euro è un crimine contro l’umanità. Prima salta l’euro, prima posso riprendere la battaglia per l’indipendenza”
DICEMBRE 2013
“Si sta in Europa solo se c’è pari dignità altrimenti meglio da soli ”
DICEMBRE 2017
“Gli americani proteggono, gli
austriaci proteggono, i francesi proteggono, i russi e gli australiani proteggono mentre tutti in Italia possono fare tutto e possono entrare le merci che vogliono”
MARZO 2017
“Quest’Unione Europea è da abbattere a bastonate”
DICEMBRE 2013
“Noi vogliamo che ci siano delle normative giuridiche ed economiche che consentano ai paesi di uscire dall’euro. Serve un referendum sulla moneta unica”
DI MAIO – MARZO 2017
“La verità è che quest’Europa non ha futuro perché è una sorta di nave dei folli”
GRILLO – APRILE 2017
“La moneta unica deve essere sottoposta a un referendum popolare
affinché i cittadini
decidano il rimanere o meno dell’Italia
all’interno dell’Eurozona”
GRILLO – GENNAIO 2017
Export-boom L’Italia cresce più di Francia e GermaniaCONDIVIDI SU Cresce ancora l’esportazione italia-na: oggi l’Istat rileva come il progres-so sia addirittura dell’11,3% rispetto a un anno fa. Una performance migliore di quella tedesca e francese che incremen-ne e impianti (+16,4%), dei prodotti tessili e dell’abbigliamento, pelli e accessori (+11,9%), degli articoli in gomma e materie plastiche, al-tri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (+11,6%) e dei prodotti alimentari, bevande e tabacco (+11,3%). Rispetto ai principali mercati di sbocco, l’Istat fa Democratica L’Istat certifica:le esportazioni italiane crescono soprattutto verso Usa, Francia e Spagna
ta ancora il nostro surplus commerciale: nei primi dieci mesi dell’anno, evidenzia l’istituto di statistica, l’avanzo commerciale ha raggiunto i 37,3 miliardi (+64,6 miliardi al netto dei prodotti energetici) con una crescita sostenuta sia per l’export (+7,7%) sia per l’import (+9,6%) rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
Tra i settori che hanno contribuito in misura più rilevante alla crescita su base annua dell’export, c’è quello degli autoveicoli (+17,4%), dei metalli di base e prodotti in metallo, esclusi macchi-
notare la marcata crescita tendenziale delle esportazioni verso Stati Uniti (+17%), Francia (+15,9%), Spagna (+14,8%), Regno Unito (+12,7%) e Germania (+12%). Nel mese di ottobre 2017, l’indice dei prezzi all’importazione dei prodotti industriali aumenta dello 0,6% rispetto al mese precedente e del 2,1% nei confronti di ottobre 2016. L’aumento tendenziale dei prezzi all’import – spiega infine l’Istat – dipende principalmente dalle dinamiche del comparto energetico, al netto del quale l’indice aumenta dello 0,1% in termini congiunturali e dell’1,3% in termini tendenziali.
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SU DEMOCRATICA.COM
Disinformazione
Fake news, i dati confermano la crescita del fenomeno
Carla Attianese CONDIVIDI SU
SSecondo qualche studioso del fenomeno in futuro l’unico antidoto possibile al problema della ‘post-verità’, declinato in questi giorni con l’ormai più popolare definizione di fake news, non potranno che essere cifre e dati. A conferma di questo, oggi a provare ad accendere un faro sui numeri di un fenomeno che, per la sua natura in
trinseca, rischia di essere sottovalutato o derubricato esso stesso a
‘bufala’, pensa l’indagine condotta nei giorni scorsi da Demos-Coop
e pubblicata oggi da La Repubblica.
Secondo il sondaggio, il 40% del campione afferma di avere in
contrato “spesso o qualche volta” su Internet notizie che successiva
mente si sono rivelate false. Un dato che sale al 56%, e che dunque
non può che allarmare, se prende in considerazione chi dichiara di
essersi imbattuto “raramente”, ritenendole però vere, nelle bufale
in rete.
L’altro dato interessante svelato dalla ricerca pubblicata da Ilvo
Diamanti è che il 23% degli italiani ha condiviso, e dunque diffu
so in Rete, notizie poi riconosciute come false. Una circostanza che
conferma quanto la responsabilità della circolazione di fake news
non è tanto e solo di chi le produce, ma anche di chi, poi, contribui
sce a propagarle attraverso la condivisione.
La ricerca di Demos-Coop svela poi un’altra circostanza che sa
rebbe bene invitasse alla riflessione, e al senso di responsabilità, gli
operatori dell’informazione: e cioè il fatto che il 24% degli italiani
ha scoperto delle fake news attraverso i cosiddetti old media, la te
levisione su tutti.
Ma dalla ricerca arriva anche una buona notizia, e cioè che circa
la metà degli italiani, praticamente lo stesso numero che si è dichiarato in qualche forma vittima delle notizie false in Rete, dichiara di averle riconosciute attraverso lo stesso strumento, e cioè su Internet. Dunque ciò che la Rete toglie in termini di verità, in qualche modo la stessa Rete restituisce. Come sempre, la differenza la farà l’uso che tutti i soggetti coinvolti, dai grandi gruppi ai semplici utenti, faranno di un mezzo che certamente è l’origine di un problema, ma che può rappresentare anche la soluzione.
LEGGI
SU DEMOCRATICA.COM
Lo strano caso di Dario De Falco, braccio destro di Di Maio
“Se Di Maio accettasse di fare un confronto con me, a proposito di fake news potrei domandargli come spiega l’attività in questo settore di uno dei suoi principali collaboratori”.
Nell’intervista di oggi al Corriere della Sera, Matteo Renzi richiama la notizia riportata qualche giorno fa da La Stampa, secondo la quale
tra i profili più ripresi e attivi del
“Club Di Maio”, il gruppo Facebook
che ha messo in giro la foto fake del funerale di Riina, vi sarebbe Dario De Falco, consigliere M5s di Pomigliano, scelto da Di Maio per il comitato elettorale nazionale per le politiche 2018.
Banche
Tutto quello che so sulle banche (anche se non ho le prove)
Luigi Marattin
Segue dalla prima
CONDIVIDI SU
E Eci sono riusciti, perché la politica
le mie. Capisc’ a me, guaglio’”). della Seconda Repubblica si è ben
3)
emettere un particolare tipo di obbligazioni guardata dall’anche solo immagina
(obbligazioni subordinate, o junior) che avevano re di intervenire, per modernizzare
una caratteristica fondamentale: erano obbliga-il sistema e dotare la nostra econo
zioni come le altre, ma venivano conteggiate nel mia di un sistema di allocazione del
“patrimonio duro” della banca, così come le azio-credito in grado di premiare l’efficienza, e non
ni. E quindi servivano ad accontentare le richieste il mantenimento di sistemi di potere locali e
di rafforzamento patrimoniale. Però proprio per spesso estremamente inefficienti. So che l’uni-
questo, così come le azioni, in caso di fallimento ca eccezione è stato il Governo Renzi nel 2015
della banca non ne era garantito il rimborso. quando ha costretto le 10 maggiori banche popolari ad abbandonare quel sistema “protetto”
So che su tutti e tre questi metodi per tenta-di governance e a diventare società per azioni,
re di non farsi “togliere il giochino dalle mani” in modo da essere contendibili sul mercato. E so
avrebbero dovuto essere attentamente esaminati che tanti (ma proprio tanti) si incazzarono.
dall’autorita’ di vigilanza a questo preposta. Che
So che le autorità di vigilanza bancaria, in questi 25 anni, spesso hanno cercato di proteggere il sistema, invece di cambiarlo. Qualcuno ricorderà il “bacio in fronte” che a metà Anni Duemila Fiorani (amministratore della Banca popolare di Lodi) voleva dare a Fazio (governatore della Banca d’Italia) perché aveva in qualche modo scoraggiato o impedito l’acquisizione della banca da parte di un gruppo europeo, preservando la governance attuale.
So che una delle poche certezze di questa triste scienza che si chiama economia, è che prima o poi i nodi vengono al pettine. Le banche sono aziende. E quando gestisci un’azienda non secondo criteri di efficienza ma perseguendo scopi diversi, prima o poi fallisce. E infatti alcune banche hanno cominciato ad avere seri problemi di bilancio. Acuiti dalla crisi (dal 2009 in poi), ma non generati dalla crisi. Generati, invece, dall’aver prestato soldi non a chi aveva garanzie migliori o idee migliori, ma a chi conveniva secondo il sistema di potere che ne condizionava la governance.
So che in alcuni casi (le “quattro banche” del novembre 2015) Bankitalia ha fatto il suo dovere. Ha suonato per tempo il campanello d’allarme, ha iniziato vigilanza ispettiva, ha fatto raccomandazioni e – quando tutti gli appelli sono stati bellamente ignorati da chi gestiva quelle banche – ha proposto ai governi Letta e Renzi il commissariamento e la destituzione del management (cosa che quei governi hanno fatto dal maggio 2013 a febbraio 2015). So perché c’ero e l’ho visto coi miei occhi – che gli stessi che a livello locale adesso danno la colpa a Bankitalia per non aver fatto abbastanza e non averlo fatto prima, lanciavano strali furiosi all’istituzione di Via Nazionale quando prima ammoniva e poi è intervenuta. Perché gli stava togliendo il giochino dalle mani. So che in altri casi (ad esempio in Veneto) Bankitalia ha invece sbagliato.
So che, in quei 25 anni, per evitare che “il giochino fosse tolto dalle mani”, chi gestiva quelle banche ha fatto di tutto. Non solo i baci in fronte di cui si e’ già detto. Quando la loro mala gestione ha cominciato a deteriorare seriamente il bilancio delle banche, non è stato più impossibile evitare il rafforzamento patrimoniale. Ma c’era un problema: “se faccio un aumento di capitale, magari lo sottoscrivono persone che non conosco, che così entrano nella governance della banca. E mi tolgono il giochino dalle mani. Meglio trovare altra soluzione”.
So che “l’altra soluzione” è stata triplice:
1)
fare l’aumento di capitale, ma piazzarlo agli attuali azionisti (soprattutto famiglie) o a imprenditori locali (magari debitori della banca)
2)
fare l’aumento di capitale, ma farlo sottoscrivere ad altre banche in situazione si-mile (“io compro le tue azioni, tu compri
si chiama CONSOB. E so che quando sei chiamato
a rispondere pubblicamente di una tua presunta
mancanza, ti conviene buttare la palla in tribuna e distogliere l’at
tenzione. E so che spesso questa tattica funziona.
SSo che è per questo che più di centomila persone – che avevano sottoscritto uno o più dei tre modi di cui sopra – hanno perso i loro risparmi. So che il governo Renzi – combattendo una dura battaglia in Europa – ha rimborsato l’80% dell’investimento agli obbligazionisti subordinati che abbiano un reddito inferiore a 35 mila
euro annui o un patrimonio mobiliare inferiore ai 100 mila euro.
E so che il governo Gentiloni in queste settimane ha stanziato un
fondo di 100 milioni di euro per rimborsare anche gli altri, se ver
rà dimostrato che sono stati vittime di frode.
So che sarebbe stato meglio, nel 2012 quando in Europa si di
scuteva delle nuove regole e del “bail-in”, seguire meglio quella
discussione. In questo avrebbe aiutato avere in Europa personale
politico e tecnico di prim’ordine, e non usare le istituzioni comu
nitarie per mandare gente via dall’Italia e liberare posti da depu
tato o da ministro.
So che da questa vicenda possiamo trarre lezioni importanti.
La vigilanza bancaria è ora in mano alla Bce; quella sui mercati
mobiliari è ancora in mano alla Consob. È giusto cosi? Possiamo
immaginare una soluzione più efficiente? In ogni caso, nessuna
vigilanza o regolamentazione previene abusi o inefficienze a li
vello decentrato. E allora voglio che quando un funzionario ban
cario vende ad un risparmiatore un prodotto finanziario di quella
banca, ci sia una webcam che registra tutto quello che dice. E vo
glio che tra 20 anni l’Italia non sia, com’e’ adesso, in fondo a tutte
le classifiche internazionali per educazione finanziaria. Perché
anche se non a tutti noi piace l’economia, quando compriamo un
prodotto finanziario dobbiamo abituarci a pensarci bene e a rac
cogliere qualche informazione in più, esattamente come quando
compriamo un’automobile o una casa.
Io so tutto questo, ma non ho le prove. Le prove speravo che me
le avrebbe date la Commissione parlamentare d’inchiesta sulle
banche. A questo serviva (e a capire come migliorare il sistema
per impedire di sbagliare ancora). Non doveva servire a lanciare
cortine fumogene o a farla pagare a chi non si è accodato all’iner
zia di politici della Seconda Repubblica e ha provato a smuovere
quel pezzo del sistema bancario che – come tanti altri settori della
nostra vita pubblica – non vuole neanche sentir parlare di cam
biamento dei propri comportamenti e delle proprie abitudini.
Ah, e un’altra cosa so. Maria Elena Boschi è una donna ecce
zionale, che conosce cosa vuol dire etica pubblica meglio di quasi
tutti quelli che si permettono di aprire bocca su di lei.
Di questo però, a differenza del resto, le prove le ho, eccome.
LEGGI
SU DEMOCRATICA.COM
Quali diritti nell’era dei robot? Fondazione Eyu
La discussione sui nuovi diritti dell’uomo dinanzi ai cambiamenti sul lavoro e nella società
Democratica CONDIVIDI SU
CCome conciliare progresso tecnologico, occupazione e protezione dei diritti dei lavoratori? Se ne è discusso venerdì scorso a Tallinn, in occasione della seconda
tappa del progetto “Human – machine:
new policies for the future of work”. Si
tratta di un’iniziativa promossa dalla
Fondazione EYU, in partnership con
Google, ed in collaborazione con alcu
ne tra le più importanti fondazioni pro
gressiste d’Europa – FEPS, Jean Jaurès,
ResPublica e Johannes Mihkelson Cen-
tre. L’obiettivo è quello di produrre un
rapporto sull’interazione uomo-mac
china in una prospettiva economica e
di policy, che verrà completato a fine
febbraio.
L’incontro è stato aperto da Eiki Ne-
stor, presidente del Parlamento esto
ne: “non dobbiamo ingannare i cittadi
ni promettendo il ritorno a un passato
che non può tornare – ha detto – Un
politico ha il dovere dell’onestà: dob
biamo riconoscere che il cambiamento
è inevitabile e aiutare le persone a co
gliere i benefici dell’innovazione. Que
sto implica anche che dobbiamo ripen
sare la regolamentazione: per esempio
l’Estonia è il primo paese europeo ad aver consentito, grazie a un’adeguata disciplina, la circolazione nelle strade di veicoli a controllo remoto”. L’invito ad adottare una politica di apertura al progresso tecnologico è stato immediatamente colto da Giacomo Filibeck, segretario generale aggiunto del Partito socialista europeo e membro del Comitato scientifico della Fondazione EYU: “non dobbiamo avere paura
delle nuove tecnologie, ma preoccuparci delle cattive tecnologie”.
Carlo Stagnaro, co
rezione del Partito
ordinatore del gruppo di ricerca che segue il progetto, ha illustrato le principali evidenze, raccolte gra
zie alla collaborazione del Think Tank Tortuga: “la digitalizzazione sta cambiando i processi produttivi e le mansioni che i lavoratori devono svolgere – ha spiegato – In generale, non c’è evidenza che l’automazione sia correlata alla disoccupazione, ma essa può portare a una polarizzazione dei ruoli e dei redditi: la macchina non spiazza dei lavori, ma delle mansioni, specie quelle più ripetitive, e pertanto tende a premiare soprattutto i lavoratori
maggiormente professionalizzati. Per questo è essenziale disegnare politiche attive e di formazione che aiutino gli individui durante la loro intera carriera a mantenere o accrescere le proprie abilità, soprattutto durante le fisiologiche fasi di transizione da un impiego all’altro”.
La discussione è proseguita con gli interventi – tra gli altri – di Peep Peterson (capo della Confederazione sindacale estone), Mariju Lauristin (membra della di-
Fondazione Eyu ne ha discusso con Google e le fondazioni progressiste
del principale operatore postale baltico, Omniva). A tirare le conclusioni e moderare il dibattito è stato Randel Länts, già segretario generale del Partito socialdemocratico estone. I prossimi appuntamenti saranno a Lisbona e Parigi per poi concludere a Bruxelles alla fine di febbraio con la presentazione del rapporto definitivo.
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SU DEMOCRATICA.COM
socialdemocratico estone), Allan Aksiim (fondatore e membro del board della Foundation for Future Technology) e Kaja Sepp (responsabile delle relazioni istituzionali
Pensieri e parole
Il Pil non è solo quantità, si misura anche il benessere
vantare questo primato.
Chiara Berti CONDIVIDI SU
L’
Dodici sono le dimensioni del benessere individuate e monitora­te dall’ISTAT: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazio­ne dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica Istat insieme ai rappresentanti delle parti sociali e della e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimo-società civile ha sviluppato un approccio multidimen-nio culturale, ambiente, ricerca e innovazione, qualità dei servizi. sionale per misurare il “benessere equo e sostenibile” L’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea e del G7 ad adottare (BES) che integra l’indicatore dell’attività economica indicatori di benessere equo e sostenibile. In questa fase sperimen-“prodotto interno lordo” (PIL) con alcune dimensioni tale pertanto saranno solo 4 gli indicatori introdotti all’interno del di benessere e con misure di controllo del livel-
Adesso l’Istat terrà conto anche della qualità della vita, di ambiente e sicurezza soggettiva
più ampio set di indicatori ISTAT. Si tratta del reddito medio lo di diseguaglianza e di sostenibilità economica. Con il disponibile, un indice di diseguaglianza, il tasso di man-
Documento di economia e finanza (DEF) 2017, il BES entra per la prima volta nel Bilancio dello Stato e consente di rendere misurabile la qualità della vita e valutare l’effetto delle politiche pubbliche su alcune dimensioni sociali fondamentali. Un punto di svolta, soprattutto sul fronte della legittimazione di questo dibattito, è rappresentato dalla presentazione nel 1990 da parte dell’Onu del primo rapporto sull’Indice di Sviluppo Umano (ISU), che affiancava l’indicatore sul reddito pro-capite con quelli sulla speranza di vita e del livello d’istruzione. A seguire l’OCSE ha promosso diverse iniziative nell’intento di aumentare la consa
pevolezza sul tema della misurazione del progresso sociale e con la Dichiarazione di Istanbul (2007) si è raggiunto un primo consenso internazionale sulla necessità di intraprendere la misurazione del progresso sociale in ogni Paese. Fino al 2009, quando la Commissione Europea pubblica una comunicazione dal titolo “Non solo PIL – Misurare il progresso in un mondo che cambia” e il Comitato del Sistema Statistico Europeo (ESSC) pubblica una relazione con 50 azioni specifiche per misurare la qualità della vita. Il tema è stato ampiamente dibattuto; i tempi sono maturi per recepire una innovazione nella pubblica amministrazione: introdurre in modo stabile i BES nel bilancio dello Stato. E l’Italia può
cata partecipazione al lavoro e le emissioni di CO2 e di altri gas clima alteranti. Per onestà intellettuale a mio parere occorre
precisare che il BES non “supera” il PIL. I due indicatori non sono in contrapposizione tra di loro e sarebbe un grave errore iniziare ad usarli alternativamente perché hanno due composizioni diverse e soprattutto due finalità diverse. Il BES riguarda aspetti sociali, ambientali, di benessere e di sostenibilità che non sono obiettivi primari nella misurazione del Prodotto Interno Lordo il quale, per definizione, si concentra sulla valorizzazione della produzione di “merci” e servi
zi di un Paese in un determinato periodo. L’analisi det
tagliata degli indicatori effettuata nel rapporto BES mira a rendere il Paese maggiormente consapevole dei propri punti di forza e delle difficoltà da superare per migliorare la qualità della vita dei cittadini, ponendo tale concetto alla base delle politiche pubbliche e delle scelte individuali. Credo sia un importante segno di attenzione e di sensibilità da parte del Governo cercare di dotarsi degli strumenti per valutare l’impatto delle politiche pubbliche e quindi monitorando tali dati andare a migliorare sempre di più la qualità della vita delle persone.
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